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La flotilla – obiettivi e risorse finanziarie
Leggo da web-network che Israele descrive la flottiglia come una minaccia politica più che umanitaria su presunti interessi islamisti. Le autorità israeliane identificano i principali promotori nell’attivista Saif Abu Kashek, membro del PCPA (Comitato per le Attività Palestinesi all’Estero), ritenuto vicino a Hamas, e in Zaher Birawi, figura di spicco della stessa organizzazione. In molti si chiedono come si possa mantenere una flotta di cinquanta barche.

Carburante, assicurazioni, dotazioni di bordo, rifornimenti per centinaia di volontari, l’acquisto della barche. Gli attivisti parlano di iniziativa portata avanti più con la determinazione che con i mezzi. Il finanziamento pare sia stato ottenuto tramite crowdfunding, con il contributo di migliaia i donatori sparsi per il mondo, fondi reperiti dalle campagne nazionali dal Maghreb al Golfo, fino alle raccolte di beni primari garantite da reti associative e comuni cittadini. Si parla di poche decine di tonnellate di aiuti, trascurabili rispetto al fabbisogno del popolo di Gaza.
La società civile ha comunque dimostrato, attraverso le manifestazioni di piazza e partecipate, la propria solidarietà al vuoto lasciato dalle cancellerie. Per Israele, la posta in gioco non è il contenuto delle stive e rischia di apparire ancor più illegittimo. Da qui l’intenzione dichiarata di fermarli con la forza, se necessario. Gli organizzatori della Flotilla vogliono riportare Gaza al centro del dibattito internazionale, spostando l’attenzione da una crisi che rischiava l’oblio. E in questo senso, più che un convoglio di aiuti, si configura come un’arma simbolica capace di incrinare il monopolio israeliano sul racconto del blocco.