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Elezioni e astensionismo: urgono riforme



Il nostro sistema democratico, come qualsiasi sistema democratico, non può fare a meno della partecipazione. Soprattutto quando arriva il momento delle elezioni, cioè quando ognuno di noi deve decidere da chi farsi rappresentare. Ma diciamocelo pure che ai partiti va bene così.




Nulla si fà per aumentare la percentuale di votanti. Campagne elettorali sempre più brevi, scarsa possibilità di confronto e di coinvolgimento degli elettori, candidati scelti all’ultimo momento e via dicendo. In queste ultime elezioni Regionali si sono recati alle urne quattro persone su dieci. Fosse per me abolirei le Regioni. Le Regioni sono l’esempio più lampante di un’Italia che ama moltiplicare i livelli di governo, salvo poi lamentarsi della burocrazia che tutto soffoca. Abbiamo lo Stato, le Province, i Comuni, le Città metropolitane, le Unioni di Comuni, le Comunità montane. In mezzo, appunto, le Regioni: consigli regionali-fotocopia del Parlamento. Giunte che replicano i ministeri. Uffici e assessorati che duplicano le competenze. Un carrozzone che divora miliardi e restituisce al cittadino un labirinto di norme contrastanti. La pandemia lo ha mostrato in modo crudele: ogni Regione faceva a modo suo, tra ordinanze discordanti e guerre di confine. La sanità che avrebbe dovuto garantire un diritto uniforme è diventata un mosaico di sistemi locali. Non è federalismo. E’ frammentazione. Non è autonomia. E’ disparità di cittadinanza. Un enorme dispendio di danaro: stipendi, consulenze, nomine. Dei veri feudi. Non sorprende che molte inchieste giudiziarie abbiano trovato nelle Regioni terreno fertile. E’ quanto mai facile parlare di “riforme”, “razionalizzazione”, “efficienza”. Occorre avere il coraggio di tornare all’essenziale con uno Stato centrale forte e responsabile, Comuni vicini ai cittadini. Pertanto abolire le Regioni non è utopia: è realismo. È l’unico modo per ridare allo Stato snellezza e ai cittadini uguaglianza. Tutto il resto è soltanto debito pubblico. Ritornando all’astensionismo è abbastanza chiaro che alla fin fine fa comodo ai “professionisti” della politica. La bassa partecipazione elettorale fa il loro gioco. Perché una maggiore partecipazione al voto porterebbe inevitabilmente a una maggiore polarizzazione, e si manifesterebbe nelle urne un più ampio malcontento. E allora gli “omissis” meglio tenerli a casa. Altrimenti avrebbero già dato vita a dei correttivi. Noi votiamo come nell’Ottocento: si deve andare fisicamente al seggio in orari prestabiliti. Altri Paesi hanno il voto online, oppure permettono all’elettore di avere anche un mese di tempo per votare, oppure c’è il voto postale. Nei Paesi dove ci sono questi sistemi alternativi, la partecipazione al voto è cresciuta. Negli Stati Uniti, la maggior parte degli elettori ha votato senza recarsi al seggio. Lasciare andare le cose non porterà che al nulla. Al contrario, il distacco, la distanza dalla politica, lo si vede già adesso, renderà sempre più aspra qualsiasi competizione elettorale. Perché se partecipano sempre meno cittadini è chiaro che la partita elettorale sarà sempre più in mano alle tifoserie o peggio ai soli tesserati dei partiti.


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