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Crisi del volontariato



Leggo dai quotidiani locali il calo sempre più crescente nel mondo del volontariato. La pandemia ha sicuramente influito ma, a mio modo di vedere, tante associazioni hanno iniziato a contarsi sul serio solo dopo la riforma e l’introduzione del Runts (il Registro unico per gli enti del terzo settore).




Ce n’è abbastanza per chiedersi: Volontario, dove sei? Colpa del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione? Spendere del proprio tempo per una causa è anzitutto un gesto in piena libertà. Ma se per farlo ci si deve impegnare in ore di corsi, formazione e incombenze burocratiche, ci si pensa due volte. La riforma del Terzo settore era necessaria, ma ha finito anche per appesantirci.


Una burocratizzazione che è andata a discapito soprattutto delle piccole associazioni. Molti dicono: ma chi me lo fa fare? L’idea di un volontariato più semplice, senza troppi legami né orpelli da sostenere, è un dato di fatto. Altro fattore è l’individualismo e disintermediazione. È cambiata la propensione all’uso del tempo: si sta meno insieme e si fanno più cose per conto proprio. E non c’è più l’adesione massiccia di una volta. Più che crisi, quindi, è un cambiamento. I giovani vogliono impegnarsi, ma a modo loro.  Sicuramente più esigenti dei nostri predecessori. Bisognerebbe rimettere al centro della propria attività la comunità con i suoi bisogni e desideri e non l’organizzazione. 


Forse, più che una questione di riorganizzazione, di “come fare”, la rivoluzione dei volontari può essere un’occasione per ripensare “perché” lo si fa. Una domanda di significato da riconquistare nell’esperienza. Perché mi può aiutare fare il volontario? Che cosa mi dà? Cosa posso trovarci? Alla fine, forse è questa la strada più semplice per trasformare la crisi in opportunità. Come possiamo pensare di riuscire a intercettare nuove risorse (e non parlo solo di quelle giovani, ma anche di persone di 40-50 anni) nelle nostre organizzazioni se continuiamo a svolgere le attività, gli incontri, a prendere le decisioni con le solite modalità, negli stessi orari, con gli stessi schemi mentali, gli stessi strumenti? Sarà sempre più raro trovare persone che possano dedicarsi al volontariato per intere giornate o quasi “a tempo pieno” per i motivi già accennati. Le nostre organizzazioni devono interrogarsi su come rendere “compatibile” l’impegno volontario con altri aspetti della vita ritenuti rilevanti (come la famiglia, il lavoro, lo studio) e devono saper ridefinire la partecipazione adattandola a una disponibilità che per il fatto di essere più intermittente, saltuaria non è meno preziosa e significativa, soprattutto se questa disponibilità “parziale” è data da competenze nuove, quali quelle digitali o amministrative e gestionali, che sono così preziose e necessarie.


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