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Riflessioni e aspetti controversi della riforma della giustizia
Allora che ci piaccia o no, la separazione delle carriere dei magistrati molto probabilmente si farà. A meno di clamorosi scivoloni, l'attuale maggioranza di governo ha tutti i numeri per portarla a casa. D'altra parte, né le opposizioni e né le associazioni di magistrati, sembrano avere la forza politica capace di fermarla. Leggendo i sondaggi pare che la gran parte degli italiani sia favorevole. Questo significa che una delle riforme più profonde della giustizia italiana sta per diventare realtà, cambiando per sempre il volto nelle aule dei tribunali.

Ma perché una questione così tecnica dovrebbe riguardare noi cittadini così tanto da vicino? Certo è che si sta mettendo mano ad un sistema molto complesso. Questa riforma risolverà il problema più grande e strutturale del processo penale? Certo è che l'accusa è un potere dello Stato. Il pubblico ministero ha a sua disposizione la macchina investigativa statale. Può avere a disposizione personale di polizia giudiziaria, i carabinieri, la guardia di finanza e disporre di intercettazioni, perquisizioni, sequestri. Ha accesso a tutte le banche dati e sensibili. La difesa invece che cosa ha? le risorse spesso limitate del proprio assistito e nei casi migliori dell'investigatore privato i poteri sono infinitamente inferiori. E’ una lotta sicuramente impari fin dal principio. L'idea che ciò possa magicamente equilibrare questo squilibrio trasformando il pubblico ministero in un semplice avvocato dell'accusa alla pari con quello della difesa è una favola bella e buona.
Ma il dibattito pubblico e quello politico si concentra esclusivamente su un'altra questione, cioè la presunta contaminazione culturale tra chi indaga e chi poi dovrebbe giudicare. Chi fa questa proposta non credo che accusi i magistrati di essere in malafede. Il vero nocciolo della questione è la percezione. Ovvero la fiducia che noi cittadini abbiamo nel nostro sistema. Dobbiamo essere assolutamente certi che il giudice sia un soggetto terzo, un soggetto equidistante, per argomentare un verdetto. La domanda che ci poniamo oggi è se il nostro sistema garantisce davvero questa assoluta terzietà oppure è necessario un cambiamento radicale? Chi è a favore e chi contro questa separazione delle carriere? Chi vuole la riforma ha comunque un obiettivo chiaro. Il giudice deve essere un vero e proprio arbitro, non solo imparziale ma visibilmente e strutturalmente al di sopra delle parti.
L’argomento più forte è la terzietà. Non si tratta solo di un aspetto tecnico. I sostenitori della riforma dicono che la giustizia debba essere cambiata nella sua struttura. Per raggiungere questo propongono il passaggio avvenga attraverso un pubblico concorso per poi poter scegliere quale percorso e quale carriera scegliere. Si creeranno due organi di autogoverno. Due CSM, completamente autonomi l'uno dall'altro. L'idea è di eliminare ogni forma di contiguità oppure di cultura comune tra chi accusa e chi giudica. Così facendo l’aula diverrà un luogo dove un avvocato dell'accusa e un avvocato della difesa si confronteranno davanti ad un giudice che proviene da un mondo totalmente a parte. I giudici, secondo questa prospettazione, non apparterebbero alle stesse correnti, non avrebbero le stesse prospettive di carriera, sostanzialmente. Altro punto cruciale è l'equilibrio processuale. Il nostro sistema si ispira al modello accusatorio, che in teoria dovrebbe essere una contesa ad armi pari. La separazione creerebbe in questo modo una sorta di simmetria perfetta, un duello leale che rafforzerebbe le garanzie per l'imputato.
La riforma bloccherebbe la possibilità per un magistrato di passare dal ruolo di pubblico ministero a quello di giudice e viceversa. Il doppio mandato è visto come l'unico modo per garantire che chi giudica non abbia mai neanche per un giorno vestito i panni dell'accusatore e viceversa. Altro argomento a favore di tale riforma è la lotta al correntismo. La proposta di riforma infatti prevede che i membri dei due nuovi distinti CSM vengano sorteggiati per estirpare il cancro delle correnti all’interno della magistratura. Un magistrato sorteggiato non deve, così pare, rendere conto a nessuno, non ha debiti da ripagare. Questo meccanismo, così dicono, garantirebbe la reciproca indipendenza dei consiglieri e darebbe ad ogni magistrato la possibilità di essere chiamato a governare l'ordine giudiziario senza doversi in qualche modo inchinare ad una corrente.
Vediamo ora invece chi sostiene l'esatto opposto. L'altra faccia della medaglia. Le obiezioni che sono altrettanto forti. Il rischio che il pubblico ministero finisca lentamente ma inesorabilmente sotto il controllo del potere politico. Oggi il pubblico ministero è un magistrato parte di un ordine autonomo e indipendente dal governo e sancito peraltro dalla nostra Costituzione. La sua carriera è legata a quella del giudice. Non deve rispondere a nessun ministro, ma soltanto alla legge. Il timore è che il PM diventi un corpo debole, vulnerabile alla pressione dell'esecutivo e quindi in qualche modo non più indipendente. Un governo potrebbe, per esempio, emanare direttive sulla priorità delle indagini, spingendo, per esempio, i pubblici ministeri a concentrarsi su certi reati, magari quelli di strada, quelli che hanno più impatto mediatico, e trascurare altri, come i reati contro la pubblica amministrazione, la corruzione, i reati finanziari. La carriera del pubblico ministero potrebbe dipendere non più dal CSM, ma da nomine di stampo politico. L'indipendenza del pubblico ministero, dicono i contrari, è la prima fondamentale linea di difesa della legalità. È la garanzia che chiunque, anche il politico più potente o l'industriale più ricco, possa e debba essere chiamato a rispondere delle proprie azioni. Sacrificare questa garanzia sarebbe un prezzo troppo alto da pagare.
Una questione quindi mastodontica che stravolge la Costituzione per risolvere un problema che di fatto è già stato ridimensionato ai minimi termini dalla legge Cartabia. Ma il dibattito diventa incandescente quando si passa ad una domanda. Una volta separate, chi governerà queste due magistrature? La proposta di riforma è radicale. Ci saranno due distinti consigli di superiore della magistratura, due CSM, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, con i membri togati che saranno scelti tramite sorteggio. Per chi sostiene queste idee il sorteggio è la cura definitiva, l'unica soluzione possibile al cancro del correntismo trasformatesi in veri e propri centri di potere. Per gli oppositori alla riforma il sorteggio mortifica il principio democratico della rappresentanza. Perché i magistrati dovrebbero essere gli unici in tutto il pubblico impiego a non poter eleggere chi li governa? È come se dicessimo ai cittadini di non votare per il Parlamento ma di estrarre in qualche modo a sorte i deputati. Il rischio è di sorteggiare persone non adatte a ruoli propri e competenti. Senza esperienza o senza la necessaria autorevolezza. Minando così la credibilità.
Erge quindi il baluardo dell'indipendenza dell'accusa dal potere politico per evitare abusi di un potere esecutivo che controllasse i magistrati. Questo è lo scontro frontale tra queste due visioni della giustizia, entrambe sicuramente nobili e entrambe fondamentali. Cosa ne pensano gli italiani? In realtà i sondaggi dicono una cosa chiara. La maggioranza degli italiani ad oggi è favorevole alla separazione delle carriere. Ma scavando un po' il quadro si complica. Questa approvazione in realtà nasconde tante sfumature. Cioè chi in realtà è spinto da una sfiducia generale verso una magistratura. Chi è influenzato da decenni di battaglie politiche. Chi semplicemente desidera ruoli più netti e comprensibili. È interessante notare come il centro-sinistra si sia spaccato, diviso tra chi difende la tradizione dell'indipendenza del pubblico ministero e chi invece sposa la causa garantista di un giudice davvero terzo. Questo mi fa pensare che la battaglia per convincere i cittadini in realtà sia appena iniziata, ma che se in qualche modo non cambierà il modo di comunicare, di portare avanti questa battaglia, di far comprendere davvero ai cittadini il risultato del prossimo referendum, sia ormai praticamente già scritto.