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La rappresentazione del dolore e la spettacolarizzazione mediatica



L'Ariston nel corso del festival di Sanremo rende tributo al ventiquattrenne studente del Conservatorio di Napoli ucciso il 31 agosto 2023 dopo una lite su un parcheggio sotto lo sguardo emozionato di Amadeus nel mentre la madre Daniela si accingeva a leggere una lettera per il figlio ricordando il suo sogno di salire sul palco dell'Ariston. 




Da tempo svariati programmi televisivi mediatizzano vicende di cronaca, mettendo alle volte in risalto il dolore delle vittime o dei parenti di queste ultime, sostenendo di svolgere un approfondimento giornalistico e cognitivo. Non vorrei fare del sarcasmo ma in realtà noto che molto spesso si ricorre al sistema multimediale per alzare il livello d’attenzione del pubblico e di ascolto.

Questa pratica televisiva è stata più volte denunciata da giornalisti, dall’Ordine dei Giornalisti e da esperti di etica dell’informazione. Occorre a mio avviso affrontare una questione di fondo: perché lo spettatore è attratto dal dolore altrui? La nascita di Internet e la contestuale diffusione dell’utilizzo dei social network poi, ha inevitabilmente esteso al mondo digitale tutte le condotte, i sentimenti, le emozioni umane a cui eravamo abituati a provare in privato, nella cosiddetta vita “offline”. Vorrei pertanto con questa mia esternazione far riflettere e far attenzionare circa la spettacolarizzazione del dolore.

Oggi come oggi assistiamo ad una mirata e spesso incontrollata spettacolarizzare del dolore, utilizzata dai media per fare audience sulle tragedie altrui. Innanzitutto, mi domando quanto sia eticamente corretto pubblicare, rendere noto e mediatizzare, una tragedia.

Non solo gli episodi di cronaca nera vengono spettacolarizzati e descritti con dovizia di particolari, ma anche le campagne di denuncia sociale sono talvolta incentrate sulla drammatizzazione di casi individuali invece che sul fenomeno sociale in sé. L’uso indiscriminato di immagini forti, rappresentanti realtà tragiche infatti, da un lato rendono partecipi gli utenti di una realtà distante a cui non potrebbero altrimenti accedere, e dall’altro può sconfinare al sentimento di afflizione.

La mancanza di un codice etico comportamentale e mediatico fa si che l’informazione rischi di scontrarsi con l’etica relativa alla tutela della dignità della persona ritratta durante un momento di dolore e di trauma nonché al rispetto della sofferenza di chi ha subito in maniera diretta il trauma di cui si narra. Vero anche che ultimamente, testate giornalistiche, social media, trasmissioni tv, sono state oggetto di polemica con riferimento, in particolare, a episodi tragici avvenuti e con un impatto emotivo a dir poco devastante. Dovremmo vagliare non solo sulla questione etica, ma altresì su quella giuridica. Ovviamente l’opinione pubblica si differenzia e ognuno con le proprie ragioni e argomentazioni. Pensare di censurare giornali e televisioni è semplicemente impossibile di questi tempi di globalizzazione. Tutto ciò dovrebbe essere riposto alla sensibilità individuale.

Le questioni poste dalla rappresentazione del dolore sono molte e non possono certo esaurirsi in questo mio intervento, il cui scopo non è di dare una soluzione al tema, quanto piuttosto di stimolare alla riflessione. Se da un lato invoco la necessità di far cronaca e del “far sapere”, dall’altro lato lamento l’esasperata spettacolarizzazione di qualsiasi evento tragico.

La commistione di generi fra informazione e intrattenimento rischia di fagocitare il messaggio e di far travalicare i limiti posti dall’etica e dal diritto. La decisione del se e del come raffigurare le tragedie umane dovrebbe essere preceduta da una attenta riflessione etica, volta a tracciare i confini del rispetto delle vittime e volta a tutelare la sensibilità del pubblico, in particolare quello dei minori.